Leandra D'Andrea (Art. Ledy Napule)

Leandra D'Andrea (Art. Ledy Napule)

Critiche






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CRITICA DEL DOTT. NUCCIO MULA 09.06.2012

Docente universitario di Teoria della Comunicazione e di Fenomenologie dell'Arte, scrittore, giornalista, socio dell'Associazione Internazionale Critici d'Arte e dell'Associazione Internazionale Critici Letterari


Leandra D’Andrea è una persona straordinaria. Ama la Poesia, vive per la Poesia, è la Poesia. Scrive di getto, con immediatezza, senza orpelli stilistici, senza pretese letterarie, solo per carezzare il Cuore, unico scopo d’una scrittura che sgorga dall’Anima, appassionata ed inarrestabile, con limpidezza d’acqua di sorgente. Impossibile sottrarsi ai suoi segnali d’incanto e di sofferenza, incongruo armarsi di matite rosse e blu per opporre freddezze d’analisi all’eruzione del suo intimo sentire. Accettarla così com’è, invece, umana e fatata: con i suoi bagliori di Luce, i suoi tremiti di malinconia, i suoi rituali d’incanto ad Astri di Desideri ed a Sfere di Lacrime, la sua solarità fulgente, la sua lunarità struggente, la sua vera ed impareggiabile “humanitas” che l’accompagna, come pioggia di rugiada, non solo tra le pagine e le righe dei suoi versi ma in ogni momento del vivere. Appassionata ed inerme, leonessa e cucciola, in tutte le sue poesie Leandra si denuda e ci denuda, rammentandosi e ricordandoci che la vera Poesia, indipendentemente da regole e livelli (che dimorano, per fortuna, molto più distanti dalle cupe trincee della critica letteraria) non è altro che condivisione di sentimenti allo stato puro, innocenza dell’osservare e dell’intuire, immediatezza del dedurre e dell’esprimere, piena ed icastica coscienza del “fattore umano” (mi sovviene Graham Greene) come unica alternativa alla disumanità. Imporre a Leandra revisioni e ceselli sarebbe, quindi, come stuprare la seducente innocenza dei suoi sortilegi che, invece, valgono, ed in tutti i sensi, proprio per quel che appaiono e sono, e cioè inamovibili tasselli d’un Mosaico di Vita indissolubilmente compattato da vittorie e da rese, ma sempre indomabile nel trasfigurarsi d’ogni sua dolcissima fierezza; ritratti di un’Anima costantemente cristallina nel Sorriso e nel Pianto; voci sincere d’una Voce di Poesia che, ogni volta, risuona forte dentro di noi, preziosa e purissima sia nell’Urlo che nel Sussurro, al pari di ciò che splendidamente scrisse Shakespeare nel suo “Sogno di una notte di mezza estate”: “Io muterò la mia voce in modo da ruggire come una colomba da latte. Ruggirò come un usignuolo”.



Prof. Nuccio Mula scrittore, giornalista, critico internazionale d’arte e letteratura
https://www.facebook.com/notes/ledy-napule-poemi/critica-del-dottnuccio-mula/431404290223207

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CRITICA DEL DOTT. EDOARDO DI MAURO 06.10.2012

Critico d’arte, docente di “Storia e metodologia della critica d’arte” e “Teoria e metodologia del contemporaneo” presso l’ Accademia Albertina di Torino.



Nel delicato e stimolante passaggio epocale che l’arte contemporanea sta vivendo, intrecciando i suoi destini con quelli della società occidentale nel suo insieme, un ruolo importante può essere giocato, soprattutto in Italia, dall’impostazione di un nuovo rapporto tra arte e territorio. Il particolare accenno al nostro paese è motivato dalla necessità urgente di colmare il gap che purtroppo ci separa dal mondo europeo ed anglosassone, e chi mi conosce sa che le mie riflessioni non sono indotte da alcuna inclinazione esterofila. Questo argomento è tasto particolarmente dolente. I motivi sono molteplici, tra questi si può citare la presenza di un paesaggio culturale colmo di innumerevoli vestigia con urgenti esigenze di tutela e conservazione, di politiche di intervento spesso frenate da un coordinamento centrale burocratico e farraginoso che non agevola i buoni intenti spesso manifestati dalle singole municipalità, e l’ arretratezza delle strutture didattiche, ad onta della eccellente professionalità di molti operatori del settore, che dovrebbero sin dalla più giovane età educare alla bellezza, suscitando nel cittadino il desiderio di vivere in una dimensione esteticamente e non solo materialmente gratificante, agevolando la pulsione alla fruizione artistica. Chi scrive è impegnato da un decennio abbondante in un’azione tesa a stabilire un rapporto corretto ed equilibrato tra arte e territorio nella sua città di principale residenza, Torino e, più in generale, dove insorgano condizioni favorevoli per sviluppare dei progetti in questa direzione. Il rapporto tra arte e territorio è l’ambito che mi sento di privilegiare ispirandomi all’originale progetto del Museo Epicentro promosso da Nino Abbate. Anche se non si tratta di un intervento diretto sull’ambiente, metropolitano o naturale che sia, questa unica e preziosa raccolta di arte contemporanea su mattonelle risponde ad almeno tre requisiti di base. Il primo è la rivalutazione dei valori della teknè e dell’artigianato artistico, come è facilmente evincibile dalla tipologia del supporto. Da questo deriva una forte vocazione didattica che si abbina al terzo presupposto, la localizzazione in un’area decentrata di territorio. La comodità del supporto, il carattere inedito dell’iniziativa e l’amore che la gente dell’arte non può non nutrire per una terra tormentata ma ricca di storia e di cultura come la Sicilia, ha permesso la creazione di una collezione di assoluto interesse anche riguardo la storia e la fenomenologia dell’arte italiana dagli anni Trenta alle ultime tendenze. I cataloghi pubblicati nel corso degli anni sono prezioso strumento di ricostruzione storica anche per i professionisti del settore. Proseguendo in considerazioni che mi paiono attinenti riguardo la vocazione del Museo Epicentro debbo dire come l’ambito pertinente al complesso rapporto tra arte, didattica, territorio e dimensione ambientale è, in Italia, come citato in apertura, quanto mai complesso e contraddittorio. L’analisi che ci interessa, come intuibile, è quella relativa al ruolo nuovo che l’arte ha dovuto ritagliarsi a seguito dei due più recenti sommovimenti sociali, la Rivoluzione industriale che esordisce agli albori dell’ 800 per poi conoscere varie fasi espansive fino al canto del cigno nel secondo dopoguerra, e quella tecnologica e postindustriale verificatasi dopo il 1968. Tralasciando, al momento, gli effetti di questi due fenomeni socioculturali sulla concezione stessa di arte, sulla sua produzione e circolazione, appare chiaro come il fenomeno dell’inurbamento, con la creazione delle periferie e dei quartieri operai e quello successivo ed opposto dello svuotamento ed abbandono delle aree industriali, abbiano creato per l’arte nuovi spazi di intervento, in funzione di estetica diffusa e di educazione visiva. Tutto ciò si relaziona, in particolare nel nostro paese, ad episodi collegati pur nella diversità dei contesti, come l’abbandono di una coerente politica ambientale, la speculazione edilizia, il fenomeno dell’abusivismo. In più l’ampliamento graduale ed incessante, acuitosi nell’ultimo trentennio, della produzione artistica, il suo contaminarsi con altri linguaggi visivi, come la pubblicità, la collaborazione – concorrenza con arti applicate come il design e la moda, ha creato l’impellente necessità di fuoriuscire dall’ambito canonico di gallerie e musei per allargare l’offerta e la base fruitiva, specie per le espressioni artistiche più recenti, destinate inevitabilmente, ancor più che in passato, ad onta della “normalizzazione” del concetto di avanguardia proprio in origine di quelle storiche, ad essere scarsamente comprese al loro primo apparire. Nel Novecento, in Italia, a queste nuove domande si sono offerte risposte spesso sbagliate, in particolare negli anni del secondo dopoguerra. La scarsa frequentazione nei confronti delle avanguardie europee e statunitensi, in particolare di quelle legate alla linea astratto – informale, e delle teorie interpretative più avanzate sull’arte, ispirate al pragmatismo ed alla fenomenologia, si saldò al marcato ideologismo post bellico con un’enfasi che, per quanto in buona misura giustificata dalla tragicità degli eventi da poco conclusi, risultava di tono eccessivo rispetto alla santificazione dei valori resistenziali ed all’accento posto sull’impegno sociale e politico di artisti ed intellettuali in chiave nazional – popolare, retaggio di una cattiva interpretazione di Gramsci. A questo si aggiungeva il lungo ostracismo decretato nei confronti dell’avanguardia marinettiana, che pienamente aveva compreso l’importanza di un nuovo rapporto tra arte ed ambiente urbano. La risultante fu una politica di intervento pubblico dove, complici anche i privati, si produssero una lunga sequela di opere discutibili e monumentalismi di cattivo gusto, a metà tra tracce di Ottocento mal digerito e costruttivismo celebrativo. L’impatto della invasiva urbanizzazione avvenuta a seguito del “boom” economico degli anni ’50 e ’60, foriero di sincera speranza nel futuro ed utopiche ambizioni per molti artisti, venne incautamente gestito, tra l’abbandono delle tradizioni della nostra società rurale e la creazione di opprimenti quartieri – ghetto, fonte di disagio ed emarginazione, ferite ancora aperte e sanguinanti. Questo nonostante un notevole livello di consapevolezza teorica, anche se obiettivamente limitato a ristrette pur se qualificate elites intellettuali, ed il dibattito sviluppatosi attorno alle tematiche ambientali rapportate ai nuovi fenomeni di inurbamento. Allora, in particolare negli anni ’50, si videro in prima fila artisti che rivendicavano per sé un rinnovato protagonismo ed un ruolo centrale all’interno di una società in rapida mutazione. Il dibattito e le proposte su questi temi scossero intellettualmente l’Europa, trovando un ideale e singolare epicentro in Italia, nella città piemontese di Alba. Tutto ruotò attorno alla carismatica figura di Pinot Gallizio, poliedrico uomo di cultura, artista e teorico che radunò nella sua città, tra il 1955 ed il 1957, alcune delle più belle menti dell’epoca. Convergeranno all’interno del “Laboratorio Sperimentale di Alba” varie ed importanti esperienze, tra cui il “Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista” di Asger Jorn, in cui si teorizzava un utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici e della conseguente potenziata capacità distributiva, per agevolare una “estetizzazione” diffusa dei prodotti e delle merci in previsione di una più democratica ed ampia diffusione dell’arte non vincolata, come andava di voga in quegli anni, ad una verifica funzionale sulla sua praticità. Rispetto alle tematiche affrontate in questo scritto, la componente più importante che si troverà a convergere nei dibattiti albesi sarà quella che farà capo a Costant, un collega di Jorn all’interno all’ interno del gruppo informale nordeuropeo “Cobra”, denominata “Urbanistica Unitaria”. Questa nuova concezione urbanistico – architettonica sosteneva la priorità di un intervento diffuso e capillare, “unitario”, sull’ambiente urbano, in previsione di una sua riappropriazione comunitaria e rifondazione estetica. L’ambiente non veniva quindi interpretato solo come agglomerato architettonico od edilizio ma, prima di tutto, come patrimonio di esperienze di carattere sociale, psicologico, etnico, antropologico. Di pari si sviluppava la teoria del Situazionismo di Guy Debord. Centrale a questa teoria è la tendenza ad un’”antiarte” che si consumi nel momento stesso della sua produzione ed abbatta ogni steccato con l’esistenza quotidiana, avvalendosi formalmente dell’uso di materiali di scarto opportunamente riciclati allo scopo di opporsi a qualsiasi tentazione di mercificazione dei manufatti e di ristabilimento di quell’”aura” artistica vista come degenerazione della società borghese e capitalista. Parole d’ordine che stupiscono per la loro lungimiranza ma purtroppo destinate a non essere raccolte da un contesto che virava in tutt’altra direzione. Infatti le opportunità di rinnovamento estetico offerte dall’allargamento dei confini urbani, salvo rari casi quasi sempre finalizzati a contesti di edilizia residenziale od a singole opere avulse dal rapporto con il territorio, sono sfociate in un disastro senza pari, fin troppo noto e dibattuto, come se il concetto di “contemporaneità” coincidesse con quello di cementificazione selvaggia . Tutto ciò ha generato, oltre ad una diffusione ed assuefazione al brutto, un disfacimento dei rapporti sociali e del senso di comunità anche quando le intenzioni progettuali, come nel caso dello Zen di Palermo, scaturivano probabilmente da una iniziale buonafede. In Italia, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, in sintonia con l’ingresso pieno nell’era tecnologica e post industriale, si è iniziato gradualmente a riflettere su tutto questo ed a tentare l’attivazione di soluzioni, sebbene con notevole ritardo rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei ed occidentali. Tuttavia è fuor di dubbio che, a seguito di un sempre più ampio movimento di opinione, frutto anche di una nuova consapevolezza ambientalista, in termini sia di rispetto dell’ambiente che della necessità di edificare nuovi insediamenti avvalendosi di strumenti di costruzione ispirati ad un concetto di bio sostenibilità, si sia attualmente in presenza di una situazione che consente di nutrire qualche speranza. Nell’ultimo ventennio, in particolare negli anni ’90, si sono moltiplicate le esperienze di verifica di un possibile nuovo rapporto tra arte ed ambiente naturale e metropolitano, in taluni casi con progetti di elevato interesse. Negli ultimi anni questa tendenza ha conosciuto un ulteriore incremento in termini operativi, parallelamente alla sempre più evidente crescita della volontà di creare strutture espositive, pubbliche e private, prevalentemente dedicate al contemporaneo, con fare talvolta incoerente quanto ad esiti, ma pur sempre sinonimo di vitalità, che necessita di miglior controllo gestionale. Sono ormai numerosi, in Italia, i comuni grandi e piccoli che propongono rassegne di “arte ambientale” dove, generalmente in aree verdi od all’interno dei centri storici, gli artisti espongono sculture ed installazioni. Tutto questo è, in linea di massima, positivo, perché crea consuetudine alla fruizione artistica. Tuttavia raramente le opere riescono, anche per la componente spesso effimera ed occasionale di queste manifestazioni, ad instaurare un dialogo ed un rapporto autentico con il territorio.Bisogna anche verificare come, nell’ultimo periodo, siano più frequenti gli esempi di amministratori la cui azione si indirizza verso un recupero consapevole del rapporto con la tradizione storica dello spazio urbano. È importante per una città, non importa di quali dimensioni, di essere in grado di trasmettere alle generazioni future tracce e segni capaci di permeare positivamente di sé il territorio. Il rispetto e la tutela della memoria e del passato non devono essere quindi scissi dalla esigenza di agire sul presente in direzione del futuro prossimo.

Edoardo Di Mauro.

Edoardo Di Mauro è nato a Torino il 14/07/1960. Vive e lavora a Torino ed a Bologna.
Critico d’arte, docente di “Storia e metodologia della critica d’arte” e “Teoria e metodologia del contemporaneo” presso l’ Accademia Albertina di Torino ed organizzatore culturale, ha insegnato anche presso le Accademie di Cuneo, Ravenna e Roma e allo IED di Milano e Torino. Dal 1986 al 1990 è stato membro del Comitato Scientifico del Museo di Arte Contemporanea di Torre Pellice (To). Dal 1994 al 1997 è stato condirettore artistico della Galleria d’Arte Moderna e dei Musei Civici di Torino. Dal 1984 al 2000 direttore artistico della Galleria VSV di Torino. Dal 2004 al 2007 direttore artistico dello spazio Borsalino a Parigi. Attualmente è Direttore Artistico del Museo d’Arte Urbana, della Fusion Art Gallery e dello Spazio Sansovino Arte Contemporanea a Torino, del progetto di arte pubblica “Moncalieri Porta dell’Arte” e curatore della BAM Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte. Dal 1984 ad oggi ha curato centinaia di mostre in spazi pubblici e privati italiani ed europei. Tra le principali si citano “Nuove tendenze in Italia”, “Contemporanea”, “GE MI TO : l’ultima generazione artistica del triangolo industriale”, “La caverna elettronica”, “Il linguaggio simulato”, “Perché l’arte è astratta”, “L’oggetto e lo spazio”, “Sotto osservazione : arte e poesia di fine secolo”, “Eclettismo”, “Giardino dell’Arte”, “Va’pensiero.Arte Italiana 1984/1996”, “Art Fiction”, “Una Babele Postmoderna”, “Interni Italiani” “Punto e a capo : nuova contemporaneità italiana”, “5 + 5”, “Tra un secolo e l’altro”, “Un’altra storia. Arte Italiana dagli anni ’80 agli anni Zero”.



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RECENSIONE DEL CRITICO D'ARTE INTERNAZIONALE E GIORNALISTA Prof. Maria Teresa Prestigiacomo UN MESSAGGIO DI RISCATTO NELLE OPERE DI LEANDRA D’ANDREA BY Maria Teresa Prestigiacomo # Taormina. La pittoscultura di Leandra D’Andrea ci conduce per mano, lontano dal tempo e fuori dal tempo e dallo spazio: la sua donna velata è il cammino senza tempo della donna imprigionata dal tempo, imprigionata nel suo viaggio di morte apparente del suo sonno in cui l uomo trascorre buona parte della sua vita, senza vivere la vita. Metaforicamente, il metalinguaggio pittoscultoreo è quello che vuole trasmettere questo messaggio: la condizione femminile è una condizione subalterna , nel mondo; vi è dunque, in Leandra D’Andrea un desiderio forte e pressante di una condizione in via di riscatto, nella sua subalternità; potrà vincere, la donna, il “sonno dell’indifferenza”? La donna, potrà squarciare il velo che la ricopre? La donna, potrà, finalmente, riscattare il suo metaforico bozzolo? Da crisalide, potrà trasformarsi in farfalla? Potrà spiccare voli pindarici per l’affermazione della sua libertà? Questo auspica l’artista, questo è il messaggio profondo della pittrice e scultrice Leandra D’Andrea: questo è il messaggio sotteso alle sue opere,anche quelle recenti, pittoriche in cui l’artista italiana, campana, rappresenta la maternità, sin dal suo primo stadio, quello all’interno del grembo materno. La pittrice è artista a tutto tondo, è artista della terracotta, è scultrice, è abile pittoscultrice, è poeta, quindi immette il suomessaggio poetico di donna sofferta, all’interno dell’anima delle opere: le sue opere sono frecce scoccate da un arco che tendono a colpire, per lasciare un segno non cruento che pervenga al cuore del fruitore dell’opera. Infatti, così è: Leandra D’Andrea colpisce sempre nel segno, con la sua anima poetica, con il suo cuore antico di napoletana verace, con la sua mano attenta e vigile sulla materia trattata che, sotto la sua guida si trasforma in prodotto d’arte vera. Si autorizza la pubblicazione se reca la fonte Maria Teresa Prestigiacomo.

http://www.adeleverga.it/secondaria/M.%20T.%20Prestigiacomo.htm

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Finalista Premio Psiche: Recensione


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